Antonio Canova

 Antonio Canova


Antonio Canova, Due nudi stanti: l'uno di dorso, l'altro di prospetto. Matita e carboncino su carta bianca, 42,2x32,7 cm. Bassano del Grappa, Museo Civico.


Antonio Canova, Nudo femminile andante, di profilo. Matita a carboncino su carta bianca. 44,2x30,4 cm. Bassano del grappa, Museo Civico. 


Antonio Canova. Nudo maschile


Antonio Canova, Dedalo e Icaro, 1777-1779. Marmo, alt. 200 cm. largh. 95 cm, prof. 97 cm. Venezia, Museo Corner. 


Antonio Canova, Teseo e il Minotauro, 1781-1783. Marmo, alt. 145,4 cm, largh. 158,7 cm. prof. 91,4 cm. Londra, Victoria & Albert Museum. 

La scultura neoclassica: una "pacata grandiosità"

Di statura europea fu lo scultore Antonio Canova capace di superare la sua epoca e i confini della sua terra. Egli fu infatti in grado di collaborare, nello stesso tempo, con Napoleone e con il governo pontificio di cui era ospite. 
Nato a Possagno (Treviso) nel 1757, Canova ricevette una prima formazione ad Asolo, presso lo scultore Giuseppe Bernardi, e a Venezia, dove frequentò i corsi di nudo all'Accademia ed ebbe un primo incontro con l'antico grazie alla vasta collezione di calchi in gesso dell'abate Filippo Farselli. 
Le sue prime opere come Dedalo e Icaro (1777-1779), denunciano anche i legami con la scultura barocca, forse avvicinata in copia presso la collezione dell'abate veneziano. 
L'incontro con l'antico si approfondì a partire dal 1779, quando Canova si trasferì a Roma, entrando presto in rapporto con gli artisti veneti là dimorati (tra gli altri, gli architetti Giovanni Antonio Selva e Giacomo Qarenhi) e con esponenti di punta della cultura neoclassica. 
Ne derivò una più pecisa riflessione sulla classicità evidente nel gruppo Teseo e il Minotauro del 1781-1783. Nell'eroe greco, rappresentato seduto sul mostro che ha appena ucciso, e simboleggia la vittoria della ragione sulla bestialità sulle forze dell'irrazionalità. 
Il corpo semidivino è perfetto, rispondente in tutto e per tutto agli ideali che erano stati espressi da Winckelmann. Sul volto, chiaramente modellato sulla statuaria, non trapela la furia della lotta ma solo la tranquillità, non priva di fierezza, di chi ha ottenuto una difficile ma inevitabile vittoria.
Canova, aveva scelto la via dell'arte come valore autonomo, come supremo equilibrio di bellezza e di proporzione, come unico ideale da difendere contro ogni tentativo di ingerenza, in particolare in un periodo storico così tumultuoso. 


Antonio Canova, Monumento funerario di Clemente XIV, 1783-1787. Marmo, 740x590x295 cm. Roma, Basilica dei Santi Apostoli.


Antonio Canova, Monumento funerario di Clemente XIII, 1787-1792. Marmo, 820x630x254 cm. Roma, Basilica di San Pietro. 


I monumenti papali:
la morte come sonno

Ormai affermatosi nell'ambiente romano, Canova ricevette importanti commissioni, a partire da quella, nel 1783 per la Tomba di Clemente XIV per la Chiesa dei Santi Apostoli. Il modello, il monumento funebre berniniano è decisamente superato, perché all'animazione barocca si sostituisce una partizione rigorosa degli elementi e perché sono esclusi gli effetti pittoreschi e il tumulto dei panneggi.
Ancora più impegnativa è la successiva commissione per il Mutamento a Clemente XIII in San Pietro (1787-1792) per il quale Canova approfondisce il tema tipicamente neoclassico della morte come sonno sulla base di una grandiosità e di una "calma" che caratterizzano ogni elemento dell'opera: il papa inginocchiato in preghiera, la figura della Fede l'adolescente con la torcia rovesciata. Una certa severità nel monumento, convive con la leggerezza che si esprime nel languore dell'adolescente incaricato di rappresentare la morte, sorella del sonno. 
Soavità e leggerezza costituiscono infatti un altro polo della poetica canoviana, come nel gruppo di Amore e Psiche, del 1788-1793 dove i due amanti si abbracciano secondo un'insistita ricerca di contrappunti armonici, morbidi e privi di tensioni.  














Commenti

Post più popolari